Giovani e Futuro: Gundam di vetro
08 Ott 2018

di Irene Visentin, Educatrice di Energie Sociali

Al telegiornale non se ne parla. Sui quotidiani non se ne parla. Sui social parlano loro, ma dietro le mille maschere. 

Eppure, è proprio sotto il pelo della quotidianità che si nascondono: brulicano alle fermate dell’autobus, si condividono come grandi star del Cinema, conoscono il mondo adulto senza averlo mai sfiorato. Gli adolescenti, i giovani, il tanto discusso “nostro futuro”. Ed è vero, si tratta di questo.

L’adolescente (colui che cresce) è l’incarnazione stessa del Futuro. Di quale futuro? Verrebbe da chiedersi.

Innanzitutto, del futuro della società. Di questo, magari, se ne parla un po’ di più, quando i neo diciottenni vanno a votare e ci si chiede “Oh Dio, cosa voteranno i neo diciottenni?”, quasi come ci si chiede ciclicamente “Meglio panettone o pandoro?”, in una retorica che nasconde profondo disinteresse. Oppure nel periodo degli esami di maturità, quando vengono fuori le bocciature, o l’impreparazione di un popolo che sta crescendo e che un domani guiderà il mondo. Saremo noi quegli anziani che, alzando gli occhi al cielo, godremo o patiremo di come loro condurranno le nostre sorti. Ma anche qui, lo si lascia scorrere, riempiendolo di frasi fatte, di retorica, di lamentele. 

Spostandoci più sul filosofico, nulla è più rappresentativo del Futuro in sé di un giovane. Gli aggettivi coincidono: incerto, oscuro, in evoluzione. Il Futuro si basa però su un Passato e tanto più su un Presente, che è costituito dall’adulto. E anche questo, è da ammettere, spesso procede senza consapevolezza, senza curarsi, senza comprendere che il dare per scontato un adolescente o un giovane porta a quel “doversela cavare” che ci fa perdere una linea d’importanza vitale: la fragilità.

Perché oggi, questi giovani, camminano su schegge di vetro, verso il loro domani. Ma quale domani possiedono?

Sorvolando nuovamente la retorica sulle questioni di lavoro ed istruzione (che, in ogni caso, sono fondanti) abbiamo tra le mani, accanto a noi, tra di noi, un’immensità di creature dalle ossa fragili, di anime trasparenti. Sono bambini proiettati da un’informazione incontrollata in una dimensione adulta che pensano di comprendere (ormai il corpo, i sentimenti, le relazioni e la vita in sé sono chirurgicamente presentati su schermi perennemente accesi, vagliati in ogni loro angolo, senza mai venire esperiti). Come il bambino che gioca con il carro armato giocattolo, i giovani oggi giocano con la loro dimensione adulta plastificata, resa piccola, senza conoscere il potere devastante che essa possa avere. E in questo gioco, dove una sigaretta, la droga, il sesso e la violenza sembrano facili da affrontare e divengono solo uno status symbol, il bambino che vuole farsi grande ricompare nei momenti in cui il vetro si spezza. Come un guscio che si rompe, scoprendo il caldo e fragilissimo universo racchiuso al suo interno, nella dimensione del giovane adulto le spaccature rivelano l’insicurezza e la dimensione bambina che ormai non siamo più abituati a comprendere.

Come ne Il Signore delle Mosche di William Goldin, i giovani si trovano così spesso senza l’adulto da star riorganizzando il mondo in una propria società, fatta di una deviazione dello stereotipo dell’adulto dei film, dei video, dei social, trovando nell’aggressività e nel fare “qualcosa di sbagliato” il modo più semplice per non sentire la paura. Ma alla fine, proprio come nel libro, dinanzi all’adulto vero, altro non sono che ragazzi.

Ma questa paura del nostro Futuro, la loro paura, è ovattata dalla quotidianità, frenetica e troppo “grande”. Il piccolo si fa gigante, coprendosi di una forza sovrumana (perché, ammettiamolo, questi ragazzi possiedono una forza di sopravvivenza, di resilienza, di capacità di lottare che solo pochi eroi dei film hanno), che però poggia su un’ossatura fragile, che al minimo urto si può spezzare. Per una strana sorta di circolo vizioso, il Futuro per questi ragazzi, in fin dei conti, siamo noi adulti. Loro sono ciò che ci aspetterà, ma senza la costruzione, la presa di cura, di questa loro ossatura, li smarriremo, smarrendo così il nostro stesso domani. 

Un grande discorso per portare gli occhi a guardare mille piccole realtà che ogni giorno prendono tra le mani questi giganti, come quei cartoni giapponesi degli anni Ottanta, dove omini dalla corporatura magra e poco sviluppata combattevano mostri giganti dentro ad immense armature. Noi non li vediamo, ma loro ci sono. I ragazzi, i giovani, ci sono e ci chiedono di dire loro che un futuro c’è, che glielo stiamo costruendo, perché faticano a vederlo. Dentro queste armature ci sono bambini che diverranno adulti, che cercano il loro corrispettivo nell’adulto di ogni giorno, che però sfugge, li piazza davanti allo schermo e non prova più a riconoscersi in loro. 
In questo marasma, nella frenesia quotidiana, alcuni adulti che ho avuto la possibilità di incontrare, si chinano su di questi ragazzi, proteggendoli e fortificandoli, anche se spesso scontrandosi con se stessi e con un mondo nuovo di essere giovani. 

Il Futuro è già scritto, è nelle nostre mani, è nella presa di coscienza che loro esistono e chiedono al mondo degli adulti di essere visti, rassicurati e guidati, verso il loro (e il nostro) domani.

 

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