Scoprire la serenità nella tempesta
14 Apr 2020

di Manuela Tabarini, coordinatrice comunità di semi-autonomia per m.s.n.a. San Zeno che Ride e Michele Iseppi, educatore San Zeno che Ride

In queste settimane tutti parlano di come la quotidianità nelle proprie famiglie e nelle case sia stata completamente rivista. Anche noi, noi educatori ed i ragazzi, nel nostro piccolo abbiamo rivisto il nostro modo di stare assieme.

I ragazzi non hanno scelto i coinquilini con i quali si ritrovano a vivere. Eppure, in una situazione che tutti continuiamo a descrivere come surreale, ci stanno insegnando tanto.

La quarantena in una comunità di semi-autonomia con minori stranieri non accompagnati (MSNA) è stata prima una sfida e successivamente una doppia scoperta tra momenti di frenesia e calma totale. La prima scoperta è banale, è quella che abbiamo dovuto fare tutti, quella dello scoprire cosa sia la fantomatica e mai esperita quarantena. La seconda scoperta è stata quella di scoprire dei ragazzi probabilmente molto più capaci di noi di gestire la reclusione in casa.

La sfida è stata, come in molte altre comunità per minori e non solo, quella di trasmettere un dovere: restare in casa per tutelare sé stessi e gli altri. A causa delle diversità culturali, delle diverse (non) conoscenze medico-sanitarie e di fonti provenienti dall'esterno che sostenevano il contrario, non è stato facile convincere tutti i ragazzi della serietà della situazione. Di pari passo si sono dovute imporre regole nuove e di ancor più difficile comprensione come il distanziamento sociale (stare in casa a più di un metro di distanza!), portare le mascherine, lavare le mani 15/20 volte al giorno. Su questo fronte si combatte tutti i giorni.

La quarantena è stata però una scoperta. Come organizzare una comunità educativa semiresidenziale con 5 ragazzi su 6 costretti a casa? Si badi che abbiamo la pretesa di fare un buon lavoro e la fortuna di avere ragazzi straordinari e molto impegnati: tre lavoratori, due studenti (in lingua straniera, perché tale è per loro l'italiano), uno studente lavoratore. Abbiamo quindi rivoluzionato i turni di lavoro per essere presenti, organizzato percorsi didattici alternativi per i ragazzi che devono imparare la lingua e ottenere la licenza media, proposto attività a tutti perché la clausura non divenisse apatia. Gli MSNA non possono, infatti, concedersi il lusso di abbandonarsi al torpore, di svernare in letargo come un adolescente con una famiglia che lo sostiene. Gli MSNA devono essere autonomi a 18 anni o poco più, devono avere quindi una occupazione, un alloggio, e sapersi gestire. Non si possono permettere di dimenticare il proprio obiettivo o di impigrirsi nemmeno per un virus.

A questo punto si presenta la seconda scoperta: dei ragazzi "adatti" a questa situazione, in grado di gestirla. Cerchiamo di spiegarci. Da un lato quasi tutti, compresa la serietà della situazione, sono entrati in una fase di accettazione: "Fuori casa c'è pericolo? Okay, resto buono in casa e aspetto che passi la tempesta". La serenità di questa consapevolezza è stata disarmante. D'altronde molti MSNA sanno cos'è il pericolo; sanno che a volte bisogna stare fermi ed aspettare; sanno che farlo in una casa comoda non è la sorte peggiore. Lo sanno perché spesso hanno fatto mesi di viaggio per arrivare in Italia; un viaggio affidato a trafficanti di uomini; hanno provato la paura degli spari; hanno provato la fame; hanno provato lo sfruttamento. Sono allenati a ben peggio del dover attendere tra quattro pareti con una equipe di educatori a supporto.

E allora è come se con loro, in una tacita intesa, abbiamo assieme ritrovato la calma, riscopriamo la lentezza nella costruzione delle relazioni, e garantiamo tempo, molto più tempo, ai dialoghi ed alle riflessioni individuali.

Noi cerchiamo di riorganizzare il tutto, di stabilire una routine precisa negli orari e nelle azioni da fare; e loro ci dimostrano che in questo momento si può anche soprassedere a qualche compito, che arriva il momento, nella giornata o nella settimana, in cui si potrà dedicare maggiore concentrazione e qualità a ciò che si fa.

La mattina ciascuno svolge i propri compiti. Chi ha il percorso scolastico da frequentare segue le lezioni o i supporti scolastici predisposti su piattaforme on-line, con la pazienza dell'attesa (internet che ogni tanto salta, i caricamenti dei documenti non sempre nitidi, la voce degli interlocutori che va e viene) per un sistema scolastico che non era pronto ad affrontare tutto questo. Gli altri invece si preparano ad affrontare una mattinata nella quale si chiederà loro di pulire, riordinare, personalizzare gli spazi comuni o individuali.

La figura dell'educatore per loro acquista più rilievo: sanno che in questo momento l'attenzione è dedicata a loro con l'intenzione di proteggerli e di preservarli da ciò che c'è fuori, e che si vuole anche tutelarli in un sistema che ancora non ha chiarito come ripartirà e cosa prevederà per loro. Cercano quindi riscontro a ciò che sentono nei telegiornali, o che vedono nei social, quasi che gli educatori, avendo la possibilità di uscire, abbiano le risposte di verità e le rassicurazioni che chiedono.

Dopo gli "obblighi" della prima parte della giornata, i pomeriggi si gestiscono in autonomia, a volte con proposte, altre in totale libertà. In queste occasioni il gioco dimostra la sua internazionalità ed il suo compito: assicurare divertimento, alleggerire i pensieri, sviluppare il senso di competizione, imparare ed apprendere informazioni, parole, notizie. Con Risiko, ragazzi che hanno conoscenze bassissime della lingua italiana e della geografia, apprendono i punti cardinali, i nomi dei paesi, l'uso di strategie diverse.

Quando non giocano, la proposta si sposta su altri piani: riprendere gli esercizi di italiano, tinteggiare la soffitta, imparare nuove ricette di cucina, piantare fiori ed erbe aromatiche, fare ginnastica, discutere della figura della donna. Il tutto viene intervallato da numerosi dialoghi a cui il vivere insieme porta: raccontano la loro infanzia e il loro paesi di origine; si parla della figura della donna, appunto; dei sistemi sanitari e sociali dei diversi paesi e dei leader che li guidano; dei loro sogni e aspettative. È in questi momenti che il nostro lavoro ci arricchisce.

I pranzi e le cene sono diventati i momenti più ricchi di dialoghi e di scambi: parlano, ridono, si soffermano a tavola più del solito.

Inevitabile e legittima c'è infine la ricerca di spazi individuali. È la ricerca del privato, dell'intimo in una casa in cui si vive con estranei, divenuti compagni ma pur sempre estranei.

Rispetto alla pandemia i ragazzi esprimono preoccupazione; una preoccupazione legata in particolare all'incerto futuro lavorativo per chi da poco era riuscito ad avere un contratto. Qualcuno di loro comincia a non voler varcare la soglia del portone, per paura di incorrere in sanzioni. E loro, come dicono, non se lo possono proprio permettere.

Nessuno sa come e quando usciremo da questa bolla ma pensiamo che una grande differenza la farà il modo in cui la stiamo attraversando. Lontani ma insieme, imparando e conoscendoci, ciascuno con le proprie paure, ma coltivando speranze e progetti.

«E se intanto iniziassi a studiare per la patente? Mi puoi aiutare?» «Certo!»

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